sabato 27 aprile 2019

RICORDI DI TE'


 " In origine il tè fu medicina, per poi trasfomarsi in bevanda".
(Kakuro Okakura)

LA FILOSOFIA DEL TE' esprime, insieme all'etica e alla religione, la nostra concezione dell'uomo e della natura.

Sino ad ora, l'umanità ha trovato un punto d'incontro nella tazza di tè. Quel delicato tintinnio di vassoi e piattini, l'uso del latte e dello zucchero, rende bere il tè un vero rituale, gli dona un fascino speciale.
Il tè è un'opera d'arte. Non esiste ricetta per preparare il tè ideale, così come non ci sono regole per creare un Tiziano. Ogni preparato di foglie ha una propria individualità, una particolare affinità con l'acqua e il calore, un patrimonio ereditario di ricordi da rievocare, un modo personale di narrare.
In esso, la vera bellezza deve esser sempre presente. Anche per il tè, come per l'arte, esistono epoche e scuole. La sua evoluzione può essere suddivisa in tre fasi principali: quella del tè bollito, quella del tè sbattuto e quella del tè infuso. Noi moderni apparteniamo a quest?ultima scuola. 

Ora non starò qui a raccontare delle evoluzioni del tè, di come si prepara e delle sue scuole, ma vorrei parlare di come il tè sia importante, di come crei legami, raccolga sorrisi, riscaldi i cuori .... e di un tè in particolare .... quello marocchino. 


La tradizionale cerimonia del tè marocchina è conosciuta anche come Atay Naa Naa ed è considerata l'espressione più raffinata dell' ospitalità.
Naa Naa è proprio una varietà di menta marocchina, particolarmente dolce.
Nei miei due viaggi in Marocco ricordo come se fosse ieri la bellezza di questa tradizione. Eravamo da poco arrivati nella capitale, Rabat e dopo aver girato alla ricerca di un alloggio, abbiamo finalmente trovato una stanza in un piccolo albergo nel cuore della medina, dove ci siamo trovati subito bene. I sorrisi della famiglia che ci ha accolti, la conoscenza di Hisham ci ha fatto sentire subito a nostro agio. Amiamo parlare con le persone del posto e con il nostro francese, seppur non perfetto, ci siamo subito relazionati.

La mattina si faceva colazione con pane caldo e marmellata e con una fumante tazza di tè caldo alla menta. Il padrone di casa in genere mette una manciata di foglie di menta nella  teiera, e la riempie con acqua bollente. Dopo pochi minuti di infusione, si agita l'infuso, per passarlo in un bicchiere di vetro, di quelli decorati di un verde smeraldo e poi si versa di nuovo l’infuso nella teiera;si aggiunge qualche foglia di menta in   più o un po 'di zucchero se necessario. Poi si alza la teiera in alto e si versa il tè nei bicchieri, offerti  agli ospiti . Il tè può essere versato da una altezza di 40 centimetri e più.





Bere il tè unisce gli animi, fa sbucare sorrisi, racconta storie. Il tè è dappertutto! E quel suono del tè che si versa, si “tuffa” nel bicchiere accompagna i momenti di conoscenza tra il turista e chi lo ospita perché nei piccoli alberghi che trovi nella medina delle città del Marocco, tutto è a conduzione familiare. Sembra che si stia in famiglia, io almeno mi sono sentita così e …. ci si racconta. Non c’è niente da temere. In poco lo impari.


La città che più di tutte mi è rimasta dentro è Marrakech. In poche ore ti abitui, e quell’enorme piazza e quelle strette viuzze che al primo contatto ti sembrano impossibili perfino di giorno impari presto a farle tue anche di sera.





Impari che la bellezza di Marrakech sta proprio in questo. Non si viene a Marrakech perché la sua famosa piazza Jamaa El Fna è bella, non si viene per i suoi palazzi, né per quel museo né per quel monumento.
Si viene a Marrakech per la sua atmosfera: calda, pungente, frastornante.
Si viene per perdersi letteralmente nelle anguste e fatiscenti vie della Medina e dei suoi souk, per farsi travolgere dai pressanti marocchini, per le montagnole di spezie colorate, per il potente richiamo del muezzin che si leva sopra il brusio della città, per l’enorme piazza altrimenti insignificante che di sera è tutta un brulicare di persone, veli, serpenti, fumi, odori … e dalla quale non riesci più a stare lontana.
Marrakech non è una città da visitare. Marrakech è un’esperienza da vivere. Ed è qui che ho imparato a bere il tè, ho imparato quella pacata lentezza, quel restare a guardare, ad ascoltare …. storie,  su tutto ciò che può essere raccontato:dai tipi di lana per fare un tappeto,ai tipi di tessuto, alle spezie. Tutto diventa storia, tutto si fa storia e sempre davanti ad una tazza di tè.


 Il tè è famiglia: unisce, riunisce ed allontana il frastuono del mondo, le voci assordanti, i rumori e ti raccoglie in un caldo abbraccio. Si entra nel suo di mondo per raggiungere la pace e la serenità che questa antica bevanda riesce a donarti. Si potrebbero raccontare storie sulle tazze da tè, di quelle che nascono per caso, durante un viaggio, come quello fatto laggiù.
Ogni città ha la sua storia e il tè la racconta.
 Anche nel deserto abbiamo gustato una buona tazza di tè alla menta e qui la bevanda è diventata racconto. Ha raccolto in sé tutta l’energia del deserto. Ci ha trasmesso un senso di pace e di calma. Il deserto non può essere certamente capito in quei due giorni in cui siamo stati. Ma vi assicuro che … in mezzo al … NIENTE … abbiamo trovato … TUTTO. Il deserto è condivisione, uno stato d’animo, un viaggio interiore, dove ciò che domina è il suono del vento, il calore del sole sul viso, la sabbia che ti senti addosso e che ti ritrovi anche nelle cose che mangi, ma …. che importa …  è sabbia, solo sabbia del deserto.  
Abbiamo dormito sotto le stelle” à la belle étoile”, dove si poteva vedere tutta la via lattea, con un cielo pieno di stelle cadenti. Mai visto un cielo così!  
Il deserto e una tazza di tè.
A chi non l’ha vissuto, il deserto, verrebbe da dire:” Ma quale mondo è mai questo?”… ma per chi vive qui è il nostro il mondo strano. In città c’è confusione e molte di quelle che per noi sono comodità e passatempi per loro sono impedimenti, ostacoli nella loro ricerca di una vita semplice ed essenziale. C’è solo bisogno di svuotare la testa da tutto ciò che è superfluo e materiale e raccogliere con estrema parsimonia l’energia che questi luoghi sanno danare. Solo chi ha fatto come noi questa esperienza, può avere un’idea della serena tranquillità e della “ beatitudine” che il deserto … può donare.
Io amo viaggiare così: lentamente, via terra, vedendo la vita degli altri scorrere davanti ai miei occhi, vedere paesaggi cambiare sotto il sole che piano piano conduce alla sera. Farlo poi davanti ad una tazza di tè alla menta diventa … la PERFEZIONE.


I BAMBINI CI INSEGNANO


 " Un bambino creativo è un bambino felice".
 (Bruno Munari) 

Munari, quando era ragazzino e viveva in una piccola cittadina del Veneto, trascorreva molte ore immerso nella natura. Pescava piume di gallina, pezzi di carta, raccoglieva foglie di alberi, alghe ed erbe acquatiche…..contemplava la natura, una natura in movimento, dove l’azione dell’acqua e dell’aria creava in lui delle suggestioni potenti. Era un bambino immerso nella natura che poi trasformava in creazioni artistiche. Ci mostrava il mondo in cui viveva in modo tutto nuovo e personale.
Qual è il ruolo dell’adulto? Deve essere un assistente che deve spiegare come fare e non cosa fare….Dare ai bambini tutte le informazioni necessarie, senza però suggerire temi, ma lasciando liberi i bambini di poter immaginare.
Ho da poco terminato due esperienze diverse tra loro,con bambini di età differente (7 anni e 11 anni). In entrambi i casi ho provato a giocare, a stimolare i loro sensi.
Con quelli più grandi abbiamo fatto un percorso che partiva dal loro territorio, che non è certo quello naturale in cui è cresciuto Munari, bensì uno molto più grigio, quello della periferia che non offre altro ai nostri occhi che palazzoni alti ed anonimi,poco verde, grandi spazi vuoti adibiti a parcheggio, niente colori, niente suoni, niente odori … UNO SPAZIO PERDUTO


E’ stato chiesto loro di descrivere attraverso dei segni semplici il loro paese con un solo colore: il nero. Nero come la periferia, nero come l’asfalto delle strade,… Alcuni hanno lavorato davvero bene, lasciando che quei segni dessero forma alle strade, alle campagne circostanti, ai palazzi.
Poi un secondo gioco ed un solo colore di partenza “ regalato” a ciascuno e che rappresentava una parte della loro scuola. E’ qui  infatti che trascorrono la gran parte della giornata, è qui che fanno didattica, ginnastica, musica. E’ da qui che si può cominciare a … cambiare. Si continua a giocare, stavolta con le carte colorate, con le forbici, con le fustelle. La scuola è tutta lì, nei fogli di carta colorata, nell’alternanza dei colori che danno ritmo alla composizione e allora non ci sembra più di trovarci nella solita scuola, ma in un quadro di Mirò, immersi nei colori, nei suoni, dove diventano loro gli autori.
Ma cosa succede usciti da quella scuola? Ci    si ritrova tra quei grandi e anonimi palazzoni, senza verde, tra spazi vuoti e altrettanto anonimi. Allora perché non usarli come se fossero tele sulle quali dare libero sfogo alla propria fantasia, così da poter finalmente “avere” quegli spazi verdi, quei suoni, quei colori che, racchiusi nella scuola vengono fuori come sospinti dal vento, dal desiderio di uno SPAZIO RITROVATO
 

Franz Kafka ha scritto:” Non serve andarsene di casa. Siediti alla scrivania e ascolta. Anzi, non ascoltare, aspetta e basta. Non aspettare nemmeno; resta lì … ti verrà incontro il mondo intero”
Si comincia da dove sei, da dove vivi, usando dei semplici strumenti:
la  curiosità, la gentilezza, un po’ di tempo, un po’ di tempo per fare, per COSTRUIRE IL PROPRIO MONDO o almeno cominciare ad immaginarlo.

Con i più piccoli è stato semplice. C’era da fare un regalo e si sa i regali  piacciono a tutti, ma stavolta dovevano farlo loro. Non siamo andati in un negozio a sceglierlo, ma abbiamo pensato a come fare, o meglio loro ci hanno pensato. Pochi colori, tanta allegria, gioia nel farlo e farlo insieme con gli altri è  stato ancora più bello. E’ stato un modo per dire alla persona a  cui era destinato: “ ti voglio bene, questo è per te, l’ho fatto io, ho scelto io quel colore o quel disegno, è per te”.

Che dire! I bambini sono una risorsa!

Spesso Munari diceva:”… Siccome è quasi impossibile modificare un adulto, noi ci dovremo occupare dei bambini”. Le donne e gli uomini di domani  sono già qui, sono questi bambini. Vederli   felici nel condividere un momento creativo rende felici anche gli adulti che sono così fieri di aver potuto risvegliare la loro creatività. 

BUONA PRIMAVERA!


venerdì 4 gennaio 2019

ladri di idee


 " Siamo formati e plasmati da ciò che amiamo".
(Johann Wolfgang von Goethe)

Per cominciare ad essere creativi bisogna chiedersi: “ Chi sono? Chi voglio essere?”
Bisogna essere dei RACCOGLITORI DI IDEE, bisogna guardarsi intorno, raccogliere delle idee buone che diventano per noi fonte d’ispirazione. Il mondo che ci circonda è il nostro palcoscenico, dove possiamo continuamente attingere, dove ogni giorno possiamo provare a indossare un costume diverso e dove gli oggetti di scena sono tutti i materiali, tutto ciò che ci consente di esprimerci attraverso la pittura, la scrittura, la musica e il disegno. 





E poi c’è …. il tempo, quello che ci serve per “RUBARE LE IDEE”



o meglio per copiare, copiare, copiare. Bisogna imparare a copiare, ma non per copiare e basta, ma per far propri quei segni, per tirare fuori dal quel continuo copiare, la propria identità.



RACCOLGO SPUNTI E FACCIO MIEI I SEGNI.




In questo modo si guarda non solo a quello che vediamo, ma anche a quello che c’è dietro, cerchiamo cioè di capire tutta la storia che c’è dietro a quel disegno, a quel quadro o a quella scultura, cerchiamo di interiorizzare quel mondo e di farlo nostro.
Ciò che viene fuori potrebbe essere il frutto dell’amore per il racconto (raccontare attraverso i segni)




per le favole (c’era una volta ….) e ….. la natura.




Si potrebbe provare a leggere vasi, suonare libri, raccontare foglie, tutto potrebbe essere mescolato, l’uno potrebbe influenzare l’altro. Potremmo provare a raccontare storie con l’argilla e non con le parole. 





USARE LE MANI ci aiuterebbe a realizzare storie con il corpo, con tutto il nostro corpo , non solo con la testa. Come quando vedi all’opera un torniante che plasma un oggetto di argilla: lo forma, solleva la massa, l’allarga, le dà forma tonda, la affina, con le braccia la circonda, prima la sfiora poi , più con forza la modella, le dona forma piena. E quel movimento delle mani stimola il cervello a pensare ed è proprio quell’unione tra mente e corpo a far nascere la MAGIA.

RICORDI DI TE'

  " In origine il tè fu medicina, per poi trasfomarsi in bevanda". (Kakuro Okakura) LA FILOSOFIA DEL TE' esprime,...